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Nel mondo di Enrico Ianniello tra cinema, tv, teatro e letteratura

Pubblicato il 10 aprile 2015 da Antonio Napolitano


Nel mondo di Enrico Ianniello tra cinema, tv, teatro e letteratura

Enrico Ianniello, classe 1970, nato a Caserta, residente a Barcellona, diplomatosi alla Bottega Teatrale di Firenze di Vittorio Gassmann; attore di lungo corso con Toni Servillo e Teatri Uniti; autore, regista e attore della pièce teatrale Jucature, adattamento del testo catalano di Pau Mirò con cui ha di recente attraversato tutta l’Italia da Milano a Messina (e che diventerà a breve un film); interprete televisivo del commissario Nappi nella fortunata fiction di Raiuno Un passo dal cielo; un ruolo importante in Mia madre, film di Nanni Moretti che uscirà il prossimo 16 aprile; scrittore del romanzo La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin, pubblicato da Feltrinelli e da qualche mese in libreria.

Enrico, e poi dicono che i meridionali non hanno voglia di lavorare! A questo punto ti manca un disco…

Sto componendo il mio primo concerto per arpa e orchestra! Scherzo, naturalmente...

Tu che passi molto tempo all’estero, ma che sei comunque molto attivo artisticamente in Italia, qual è secondo te lo stato attuale dell’arte e della cultura dentro e fuori il nostro Paese?

Mi riesce sempre molto difficile dare risposte sullo stato generale dell’arte, mi sembra di osservare tutto da una prospettiva troppo ristretta per dire cose sensate.

Allora stringiamo il campo e parliamo di cinema. Cosa ci puoi anticipare di Mia madre e come è lavorare con Nanni Moretti?

Come puoi immaginare, di Mia madre non so nulla! Non vedo l’ora di vederlo. Nanni non lascia leggere la sceneggiatura, e per me è stato un bell’esercizio concentrarsi sul proprio personaggio e affidarsi completamente al progetto artistico di un regista che ho sempre amato molto. Lui si è preoccupato del ruolo, io mi sono concentrato sul personaggio, ed è stato un bel modo di lavorare.

Ti piacerebbe passare alla regia anche al cinema? E’ vero che farai un film tratto da Jucature?

Si, c’è in progetto un esperimento "crossover": gireremo un film (tutto in un appartamento) tratto dal testo di Pau Mirò che portiamo in giro in teatro da qualche anno. Io ho scritto una sceneggiatura che ci consentirà di vedere ciò che in teatro viene solo evocato: le peripezie notturne del professore, i sogni di rivalsa degli altri personaggi, il tempo trascorso ad aspettare l’inizio della partita tanto agognata.

Quali sono invece i tuoi prossimi lavori teatrali?

In novembre porterò in scena un adattamento per un solo attore (ma per molti personaggi) di un bellissimo romanzo di Giuseppe Montesano, Di questa vita menzognera. Lo spettacolo si chiamerà EterNapoli, e racconterà il delirio di una città messa nelle mani di una sola famiglia, che decide di convertirla in un enorme parco tematico chiamato, appunto, Eternapoli. È un racconto affascinante, comico e terribile come nello stile di Montesano.

Passiamo a La vita prodigiosa di Isidoro Sifflotin. Isidoro è un bambino nato e cresciuto nell’Irpinia degli anni ’70 che diventa famoso nella sua comunità perché sa fischiare come gli uccelli, di cui capisce il linguaggio e con cui è in grado di comunicare. Sono gli anni del terrorismo, di Guido Rossa, di Berlinguer e di Pertini a cui Isidoro riuscirà anche a stringere la mano. Ma sono anche gli anni del terremoto e soprattutto del trauma del post-terremoto che ha trasformato in maniera irreversibile il Sud e forse l’Italia tutta, e di cui tutti si sono dimenticati…

Sì, il terremoto è la frattura che divide a metà il racconto di questa vita sui generis, che nella prima parte si sviluppa in un mondo incantato, capace di creare una figura così poetica e meravigliata com’è il piccolo Isidoro. Ma, soprattutto, il terremoto impedisce il progetto rivoluzionario che sta per nascere da quelle parti: lo sviluppo di una lingua "fischiata" capace di affrancarsi dal linguaggio del potere, grazie al potere di un nuovo linguaggio, ad uso esclusivo dei poveri, degli ultimi, dei reietti. Nel sogno di un’umanità migliore, perché capace di fondare il proprio stare al mondo sulla parte migliore di sé, irrompe il terremoto, che seppellirà per sempre speranze e protagonisti di questo sogno di riscatto. Isidoro sarà ancora una volta salvato dalla sua migliore e sommamente inutile capacità, entrando in contatto con un altro uomo che conduce un’esistenza al limite, Enzo Cecóf.

Come e perché nasce questo libro?

Dalla mia voglia di raccontare, e di raccontare una figura piena di incanto. Il nostro mondo è ormai dominato dalle figure disincantate e ciniche, e io volevo scrivere di un protagonista che conservasse la sua forza proprio nella sua fragilità.

C’è qualcosa di autobiografico in Isidoro?

Nulla, direi.

Stella, la mamma di Isidoro, dice una frase molto importante a suo figlio: “Tutto quello che cresce si separa”. Il tuo è anche un romanzo che parla molto della solitudine.

Sì, come base di una relazione umana piena e felice. Parla anche della solitudine come condizione prima dell’uomo, e della sua declinazione contemplativa.

Nel tuo libro, come dicevi prima, soprattutto all’inizio, si respira molto l’atmosfera sudamericana del “realismo magico”. Era un po’ l’atmosfera che si respirava in quegli anni a Napoli. Anche perché a proposito di Sudamerica e di magia erano gli anni di Maradona. Si può ricreare ancora quella magia e quel disincanto oggi? Ci sarebbero secondo te oggi persone disposte ad andare ad un concerto per sentire un ragazzino fischiare?

Se ci fosse un ragazzino capace di fischiare come Isidoro, sicuramente! Per me i fischi e le volute aeree di Isidoro corrispondono ai palleggi di Diego Armando.

Già stai pensando ad un altro libro?

Ahah, sinceramente no.

Comunque se fai un cd, fammelo sapere che io lo compro.

Ricorda: concerto n 1 per arpa e orchestra in sol minore. Naturalmente suono io. Tutto. E mi dirigo.


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