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Noi credevamo raccontato dai protagonisti

Pubblicato il 7 agosto 2011 da Edoardo Zaccagnini


Noi credevamo raccontato dai protagonisti

il 22 novembre 2010, nello spazio incontri della Libreria del Cinema di Roma, in via dei Fienaroli 31, il regista Mario Martone, lo scrittore Giancarlo De Cataldo e lo storico Miguel Gotor, hanno presentato il libro Noi credevamo: un testo che contiene la sceneggiatura dell’omonima opera cinematografica sul Risorgimento italiano, presentata in concorso all’ultima Mostra del cinema di Venezia. Nel libro, edito da Bombiani, ci sono molte scene escluse dal montaggio finale del film, che in quegli stessi giorni di novembre era già uscito in sala. Dapprima in sole trenta copie, ma poi, con un passaparola che metteva parzialmente in discussione le etichette negative affibiate al pubblico italiano, quelle copie erano notevolmente aumentate.

A moderare l’incontro, che proviamo di riassumere, c’era il critico del Messaggero Fabio Ferzetti, il quale ha definito Noi credevamo come il nostro Nascita di una nazione.

Quando il giornalista ha notato come nel film si senta una grande libertà da parte degli autori, De Cataldo gli ha risposto sorridendo, e dicendo che forse qualcuno, tra i produttori, non si era accorto di quello che stavano facendo. Martone, però, ha tenuto subito a ringraziare Carlo Degli Esposti della Palomar, co-produttrice del film, per l’enorme impegno messo nel lavoro. Poi Ferzetti ha continuato ad introdurre Noi credevamo:

Ferzetti: Ma questo nostro film sul Risorgimento non ha nulla di celebrativo, anzi smonta ogni forma di celebrazione e di retorica. E’ un film lontano dalle storie che ci sono state raccontate, e lo è anche nella forma. In questo senso è agli antipodi di Baarìa: lì c’è tutto quello che sapevamo, qui c’è tutto quello che non sapevamo. Abbiamo tre protagonisti, un forte impianto teatrale ed una sola scena di massa. Noi credevamo è un film molto ambizioso, che a differenza di tutti gli altri film italiani sul Risorgimento, non molti per la verità, non si accontenta di raccontare una porzione di spazio, un pezzetto di Storia. Ma tutto. E in quel tutto c’è una grande attenzione per le periferie, per gli angoli nascosti della Storia. Si arriva fino ad oggi, ai giorni nostri, partendo da molto lontano. Noi credevamo può rientrare, a mio giudizio, tra i film più belli sugli anni di piombo italiani. Con quest’opera ho capito molte cose della mia giovinezza, per esempio, e del resto ogni film storico parla del presente, a volte al di là delle intenzioni dell’autore. Nel caso di Noi credevamo, tuttavia, le intenzioni di parlare del presente ci sono tutte.

Mi sembra, infine, che il film metta in scena una differenza di pensiero, una forte articolazione della divisione, che c’è stata nel Risorgimento ma anche per tutto il cammino successivo del nostro paese.

La mia speranza, ora, è che da questo film partano degli spin-off, sulla scia di Romanzo criminale: mi piacerebbe saperne di più su certi personaggi, per esempio....

Dopo l’introduzione del critico ha parlato Mario Martone:

Martone: Il film è un sasso gettato nello stagno, e i cerchi si stanno allargando, per fortuna, visto che in sala il filma sta andando bene. Quello che c’è dentro Noi credevamo è frutto di tanto studio e di tante letture. Nulla di quello che si vede è ignoto agli storici. Molti dialoghi, ad esempio, sono tratti da lettere ritrovate. Soprattutto, ma non solo, quelli di Cristina di Belgioioso. L’approfondimento del suo personaggio, come degli altri che abbiamo sviluppato, è stato bellissimo. Ricostruire il pensiero politico della donna imponeva dialoghi lunghi, che andavano sviluppati per forza in quel modo. Abbiamo dovuto compiere molte scelte, trattando un arco di tempo così lungo. Mi sono sorpreso moltissime volte, mentre studiavamo per questo film, di quante cose si potessero trovare nei documenti che non appartengono alla conoscenza comune. E mi sono reso conto di come sul Risorgimento, in fondo, si sappia poco. Di come il rapporto con la nostra Storia sia scarso, di come sia meno sviluppato rispetto alla Francia, alla Germania o all’America. Se avessimo un rapporto diverso con la nostra Storia, probabilmente saremmo un altro paese.

Insieme a Martone e De Cataldo, come accennato, c’era anche lo storico Miguel Gotor, il quale ha così considerato il film di Martone:

Miguel Gotor: Noi credevamo è anche un film sulla crisi degli anni ’70, e non solo un’opera sul Risorgimento italiano. E’ un film sull’idea di rivoluzione, con le speranze e le sconfitte che questa comporta. Il film mostra come proprio da una sconfitta sorga l’alba della nostra nazione. Gramsci parlava di rivoluzione mancata, fallita perchè priva di quella riforma agraria che avrebbe potuto risolvere da subito il problema del nostro meridione. Non dimentichiamoci che tutto il Sud, alla fine del settecento, era in mano a quindici famiglie. Questo per dire di come il nostro paese abbia avuto da subito uno sviluppo non unitario e di come nel film di Martone si senta tutto il suo amore per il Sud.

Di quell’idea di rivoluzione si racconta, nel film, un particolare filone: quello mazziniano, che ha due caratteristiche: l’internazionalismo (i tre ragazzi protagonisti si muovono dal Sud verso l’Europa del tempo) e l’interclassismo ( per la fusione di popolo e borghesia).

Due personaggi mi hanno colpito molto: quello di Crispi ed uno più piccolo, inventato: quello di Ludovico, l’uomo con i cardilli, che preferirebbe che i rivoluzionari si preoccupassero d’altro.. Quel personaggio sintetizza molto bene gli anni ’80.

Anche De Cataldo ha fatto alcune considerazioni sul lavoro:

De Cataldo: Sono stato coinvolto in una grande avventura, dalla quale ancora non riesco a staccarmi. Abbiamo studiato molto, e purtroppo abbiamo dovuto scartare tanto materiale. Anche alcune buone idee, per una questione di spazio e di sintesi. Ma alcune scelte di fondo sono rimaste intatte. Il nostro film non nasce per i festeggiare i 150 anni dell’Italia, ma da una riflessione che forse spettava alla politica, ma che la politica non ha fatto..


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