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Salvatore Striano: Take Five, un film dalla poetica pasoliniana

Pubblicato il 2 ottobre 2014 da Francesca Polici


Salvatore Striano: Take Five, un film dalla poetica pasoliniana

Da Garrone a Ferrara, passando per i Taviani fino a Lombardi. Salvatore Striano, carismatico interprete napoletano torna sul grande schermo con il nuovo film di Guido Lombardi Take Five – presentato in concorso al Festival di Roma dello scorso anno, il film sarà disponibile in sala dal 2 ottobre. Dopo le eccellenti interpretazioni del passato, vediamo finalmente l’attore vestire i panni di un personaggio totalmente nuovo, forse esaltando ancor di più le sua abilità interpretative.

Come è stato lavorare con Guido Lombardi?

Molto faticoso. Guido è un regista estremamente esigente e perfezionista. Si vuole sempre assicurare che tutte le componenti funzionino, non trascura nessun dettaglio. Delle volte si ha addirittura la sensazione che l’attore sia di “troppo” per il solo fatto che si muova sulla scena. Lavora molto accuratamente sia con gli attori che con i tecnici, cercando così di creare un tutt’uno.

In che modo le tue esperienze pregresse nel mondo del cinema, dai Taviani a Garrone, hanno influito nell’interpretazione di Take Five? Hai avvertito un cambiamento nel tuo modo di lavorare?

Certamente il mio bagaglio di esperienze ha influito molto nella realizzazione di questo film. Lavorare con maestri come Matteo Garrone, i fratelli Taviani, Marco Risi, Stefano Incerti ed Alessandro Piva è stata un’enorme fortuna che mi ha aiutato moltissimo da un punto di vista psicologico. Recepivo molto bene i messaggi di Lombardi anche se lui ha giocato a togliermi di dosso il personaggio che avevo sempre interpretato, privandomi in qualche modo di tutto quello che avevo fatto prima. In Take Five, infatti, interpreto il ruolo di un fotografo malato di cuore, pronto a tutto pur di salvarsi la vita. Il primo giorno che sono arrivato sul set, Guido mi ha detto che temeva che il successo di Cesare deve morire mi avesse dato alla testa e che per questo non fossi in grado di interpretare il mio personaggio. Così mi sono rimboccato le maniche, ho lavorato sodo e ho fatto del tutto per entrare nei panni di questo personaggio e farlo al meglio. Insomma, Guido è uno stronzo! (ride, nda)

Invece pensi che il tuo passato in carcere in qualche modo influisca sul tuo lavoro?

Non credo che il passato da ex detenuto abbia influenzato la mia interpretazione in Take Five e in nessun altro film. Credo che questo non c’entri niente, sono cose diverse. Se devo cercare una qualche influenza al riguardo, posso dire che tutto questo mi aiuta a porre una maggiore applicazione nel mio lavoro, mi ricorda da dove vengo e che non posso sbagliare un’altra volta. E poi ormai, anche se volessi, non potrei mica fare una rapina. Ovunque vado mi riconoscono, quindi se vado a fare una rapina è la fine. Il cinema serve anche a questo! A parte gli scherzi, il cinema mi ha davvero salvato la vita e, non che voglia fare una citazione a tutti i costi, però come si dice: dal letame nascono i fiori.

In riferimento alla tragica situazione delle carceri italiane, credi che film come Take Five o Cesare deve morire in cui una buona parte del cast è data da attori che vengono dalla strade ed hanno un passato da detenuti,possano dare un messaggio forte in questo senso? Credi che aiutino a sensibilizzare l’apparato sociale nei confronti di un tema che troppo spesso non viene neanche menzionato?

Certamente, anche perché gli stessi attori concedono a questi film una vera e propria poetica pasoliniana. Noi rappresentiamo una speranza, un’alternativa. La nostra testimonianza è la prova che le cose possono cambiare, che possono esserci delle seconde possibilità. Il cinema serve anche a mostrare delle persone che non sono più fatte per il carcere, è senza dubbio molto più rieducativo questo che la giustizia italiana. Sì, perché certi uomini dovrebbero redimersi davanti alla legge, invece finiscono per incattivirsi perché questa ti priva dei diritti più primordiali dell’uomo, che non sono i diritti di un criminale ma quelli fondamentali di cui nessun uomo dovrebbe essere privato.

Quindi possiamo dire che quel ruolo di rieducazione che doveva svolgere il carcere, per te l’ha svolto il cinema. Ma in che modo ti sei avvicinato a questo? Come è nata la tua passione?

Sa,i io dico spesso che le scuole dovrebbero essere meno carceri e le carceri più scuole. Ecco, appena quel carcere in cui stavo è diventato una scuola, ho trovato delle direzioni, delle alternative e ho cambiato vita. Quando ho iniziato ad avere una biblioteca, la possibilità di leggere, studiare e recitare allora ho capito quale era la mia strada, e ho iniziato a coltivare il mio talento.


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