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Stefano Muroni racconta la "sua" Tresigallo tra sogno e ricordo

Pubblicato il 17 novembre 2015 da Annalaura Imperiali


Stefano Muroni racconta la "sua" Tresigallo tra sogno e ricordo

Indubbiamente colpisce il fatto che un giovane attore, il cui primo interesse è certamente il cinema, abbia speso tante energie per scrivere un saggio storico di quattrocento pagine. Eppure è proprio ciò che ha fatto Stefano Muroni, classe 1989, nativo di Tresigallo, paese del basso ferrarese.
Del giovane attore possiamo in questa sede ricordare i suoi studi al Centro Sperimentale dal 2009 e poi il suo ruolo di attore protagonista di una coproduzione italo-americana come Amore tra le rovine – Love Among the Ruins e la sua presenza si nota anche in alcuni corti interessanti come Tommaso (che affronta il delicato tema dell’eutanasia e in cui Muroni recita accanto a personaggi del calibro di Monica Guerritore e Giulio Brogi) e di 30 e lode.
Tralasciando il fatto che Muroni sia attualmente impegnato nella produzione di una serie dal titolo Voci di resistenza (prima serie storica per il web voluta dalla Treccani) e che ha recentemente vinto il Telesio d’Argento come giovane rivelazione e che presenta il prestigioso Giffoni Film Festival, è per la sua attività editoriale che oggi lo incontriamo.
Tresigallo, Città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno è, in effetti, un libro che potrebbe essere destinato a far discutere. Un libro che nasce nell’intento di raccontare una parte della storia d’Italia attraverso il filtro della vita di un paese piccolo, Tresigallo appunto, che è una di quelle realtà che il fascismo ha fatto crescere e che, per questo non riesce, in fondo, a conservare un "brutto ricordo" del ventennio.
Da questa visione "dal basso" emerge un ritratto di Edmondo Rossoni (l’artefice della rinascita della città, ma anche membro di spicco del Governo voluto da Mussolini) apparentemente entusiastico e senza troppi contrasti. Chiediamo, quindi, all’autore di spiegarci meglio le intenzioni che hanno mosso il suo lavoro, sospendendo ogni giudizio su una figura storica (e sul modo di ritrarla) che, fuori di Tresigallo, ci sembra, forse, ben altrimenti problematica.

Il membro del governo di Mussolini, Edmondo Rossoni, sindacalista, giornalista e politico, ministro dell’agricoltura dal 1935 al 1939, appare dalle pagine del tuo libro come il vero artefice della rinascita di Tresigallo: quanto ha veramente contribuito a questo progetto di restyling del borgo ferrarese?

Tresigallo, Città di fondazione. Edmondo Rossoni e la storia di un sogno racconta le vicende di un paese a mio avviso straordinario, diventato tale solo dopo l’arrivo di Edmondo Rossoni. Perché, fino a quel momento, non aveva altro se non diecimila abitanti spersi in una serie di catapecchie costruite con la terra, la paglia e pochissimi mattoni. Lui, infatti, riuscì a trasformare il misero agglomerato contadino di Tresigallo da un borgo di settecento anime ad una vera e propria città industriale. Il basso ferrarese, di cui la cittadina fa parte, non era altro che la congiunzione di diverse vite, soggette ad un altissimo tasso di mortalità a causa della fame e del colera, che si ritrovavano tutte lungo un’unica strada stretta e sterrata. Rossoni, però, che amava tale borgo proprio perché era casa sua, seppe imporsi all’attenzione di Mussolini: il suo obiettivo era mettere in atto il “sindacalismo integrale”, l’idea cioè di formare un sindacato unitario dei lavoratori che avrebbe chiamato, appunto, “la rossoniana”.

Qual è il messaggio che vuoi trasmettere, quindi, con il tuo libro?

Quello di un’Italia povera che sogna di uscire dalla miseria. Gli abitanti di Tresigallo si vantavano perché, avendola costruita con le loro mani, si sentivano gratificati dal fatto stesso di essere costruttori del luogo in cui vivevano, di questo miracolo economico che si configurava sotto forma di sogno, di obiettivo e di speranza.
L’idea di scrivere questo libro affonda le radici nell’ormai lontano 2004, quando io avevo soli quindici anni. All’epoca i miei nonni cominciarono a raccontarmi quella che era stata la storia della loro vita, tra guerra, povertà e il grande sogno di poter cambiare il loro avvenire. Io ero talmente colpito dai loro racconti che ben presto, pur di continuare a seguire le fila delle storie narrate, cominciai ad accompagnarli nei campi per aiutarli a raccogliere pomodori e a lavorare le spighe di grano.

Ad ispirarti, quindi, è stata la vicenda familiare dei tuoi nonni?

Si, tant’è vero che mi assaliva sempre di più un dubbio atroce: essendo loro e i loro pochi coetanei gli ultimi superstiti custodi di quella che si potrebbe definire la “civiltà” contadina, nel momento in cui se ne fossero andati, cosa avrebbe dato seguito alle loro ricche ed educative memorie?
È stato così che, nell’ascoltare la rassegnata risposta che mi davano in merito al fatto che queste storie sarebbero morte con loro, mi sono sentito come investito dal senso del dovere di scrivere un libro che potesse racchiudere tutti i loro racconti.

Il libro si avvale di interventi scritti da eminenti personalità nel mondo storiografico. Come sei riuscito a coinvolgerle?

Il mio autore preferito è sempre stato Antonio Pennacchi, sensibile all’argomento in quanto la sua famiglia fu trasferita anni prima nell’agro pontino. Quando ha letto il libro mi ha detto di averlo trovato interessantissimo; e poi ha soggiunto che l’ok definitivo me lo doveva dare Giuseppe Parlato, massimo esperto del fascismo e dello sviluppo del neofascismo nonché uno dei primi teorizzatori del fascismo di sinistra. È stato allora che l’ho conosciuto: anch’egli ha trovato il libro molto interessante e, dal momento in cui ha deciso di scrivermi l’introduzione, lo stesso Pennacchi si è proposto di scrivermi un saggio. Quando poi mi sono rivolto all’Istituto di Storia Contemporanea di Ferrara per presentare il mio testo ho avuto modo di parlare con Anna Maria Quarzi, la quale mi ha confessato che non le era mai capitato di leggere un’opera del genere, scritta da un appassionato di storia che non fosse uno storico, per di più così giovane. Al che mi ha suggerito di sottoporlo all’attenzione di Folco Quilici, il quale, dopo averlo letto, ha deciso di scrivere la postfazione.

La partecipazione al libro di questi storici garantisce l’autorevolezza e la certezza delle fonti da te riportate. Peraltro all’interno del volume ci sono ben sessantaquattro pagine lucide e plastificate contenenti delle immagini, che si dividono nei due macro-capitoli “Momenti di vita quotidiana del borgo ferrarese” e “Tresigallo, la rifondazione”. Da dove provengono le foto?

Alcune foto provengono dall’archivio di Tresigallo e molte altre, invece, dagli album dei ricordi dei testimoni che hanno parlato direttamente con me e che mi hanno raccontato le proprie storie. Tra costoro vi sono sicuramente i miei nonni e poi i loro amici dell’epoca.

Il libro affronta un tema sicuramente complesso. Perché secondo te dovrebbe interessare oggi un lettore?

Perché è la storia di un’Italia veramente povera che sogna di fare di più, di uscire dallo stato di miseria in cui versa… e ce la fa!
Oggi la crisi di cui tutti tanto parlano e si lamentiamo potrebbe essere veramente superata se solo vivessimo uniti e molto di più il senso di appartenenza al nostro paese, imparando ad avere come obiettivo concreto un’Italia migliore. Sogno che, oggi come all’epoca, se si sente nel profondo si può realizzare…

Sogno che, in effetti, è stato anche un po’ il tuo…

Sì, in qualche modo è vero! Sia attraverso il mestiere dell’attore che attraverso quello dello scrittore, fin da piccolo ho sognato di raccontare delle storie: vero obiettivo che accomuna due professioni per molti apparentemente separate e distinte. Con il mio libro ho deciso di raccontare una storia che non sarebbe mai stata portata, altrimenti, all’attenzione del pubblico; con il cinema ho intenzione di raccontare più storie che possano riguardarci da vicino e farci riflettere profondamente sulla realtà che ci circonda.

Sono previste presentazioni ufficiali del tuo libro?

Il libro è stato già presentato a Ferrara e, lo scorso 11 novembre, alla fondazione Ugo Spirito di Roma, di cui proprio il sopracitato Giuseppe Parlato è direttore.


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