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Venezia 71 - The Look of Silence

Pubblicato il 29 agosto 2014 da Giovanna Branca

VOTO:

Venezia 71 - The Look of Silence

Dopo che i carnefici avevano reinscenato il massacro di comunisti o presunti tali nell’Indonesia del colpo di stato degli anni Sessanta in The Act of Killing, Joshua Oppenheimer fornisce con The Look of Silence una sorta di controcampo delle vittime. Siamo quindi nuovamente di fronte ad un documentario che indaga la memoria del sanguinoso sterminio di oltre un milione di persone in un paese in cui i colpevoli si trovano ancora al potere, ed i familiari delle vittime sono magari vicini di casa di coloro che hanno ucciso i loro cari.
Non a caso, per evitare ritorsioni, l’interezza dei collaboratori indonesiani del film restano anonimi. Ma non Adi, oftalmologo quarantenne “protagonista” di The Look of Silence insieme ai suoi genitori ultracentenari: le milizie popolari anticomuniste – spalleggiate ed aizzate dall’esercito - hanno ucciso brutalmente il fratello Ramli, e lui, nato dopo la sua morte quando i genitori erano già di mezza età, è considerato dalla madre come una sorta di dono divino per superare il trauma della perdita di Ramli. Adi, che gira di casa in casa per controllare la vista dei suoi clienti e fare loro degli occhiali, assiste alle interviste fatte dal regista agli assassini di suo fratello – che ci tengono ancora una volta a riprodurre gli eventi come accaddero - e li incontra personalmente per interrogarli sui loro crimini. Ad emergere è sempre la stessa assenza di una valutazione etica dei propri gesti, lo stesso folle orgoglio per la propria crudeltà, rotto però stavolta da delle sporadiche manifestazioni di disagio e rabbia che emergono dal confronto con quest’uomo mite e dignitoso che ha il coraggio di chiamare le cose con il loro nome senza mai scomporsi. Ed affiora anche il sostrato di follia del branco responsabile dell’eccidio, dato che sono in molti i carnefici a riportare l’usanza di bere il sangue delle vittime “per non impazzire”, in una contorta “consapevolezza inconsapevole” della crudeltà inspiegabile inerente alle loro azioni.
E’ questo – tralasciando l’impatto estetico maestoso di entrambi i film - il fulcro di maggior forza ed interesse tutti e due i documentari di Oppenheimer sul colpo di stato indonesiano: l’interrogativo quasi antropologico e certamente irrisolto su questa inusitata violenza e su questo fallimento dell’empatia umana. Ed è forse anche una delle più importanti accezioni del silenzio che dà il titolo al film: l’impossibilità di spiegare, oltre che ovviamente di ricevere risposte che possano anche solo lontanamente fornire una compensazione.
Ad essere chiamati in causa in questo mondo dall’apparenza lontano sono però stavolta anche gli Stati Uniti, che se in The Act of Killing fornivano solo uno scintillante immaginario cinematografico ai carnefici, in The Look of Silence sono presenti in forma di trionfanti reportage giornalistici d’epoca dal paese in cui gli stessi civili insorgevano contro la minaccia rossa. Negli anni in cui lo zio Sam invadeva il Vietnam, la tv americana riportava notizie di comunisti indonesiani che chiedevano di venire uccisi per espiare i loro crimini. E mentre un milione di innocenti veniva massacrato, mettevano in scena una riproduzione della realtà ancor più macabra di quella offerta dagli stessi assassini.


CAST & CREDITS

(The look of silence); Regia: Joshua Oppenheimer; produzione: Final Cut for Real; distribuzione: I Wonder Pictures; origine: Danimarca, 2014; durata: 90’


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