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Vittima degli eventi: intervista a Claudio Di Biagio e Valerio Di Benedetto

Pubblicato il 15 novembre 2014 da Antonio Napolitano


Vittima degli eventi: intervista a Claudio Di Biagio e Valerio Di Benedetto

“Vittima degli eventi”, il fan movie dedicato a Dylan Dog, ideato da Claudio Di Biagio (creatore e autore di Freaks!) e Luca Vecchi (fondatore e autore di The Pills), è una delle più interessanti operazioni dal punto di vista dell’innovazione del panorama audiovisivo italiano. Realizzato grazie al crowdfunding e presentato al Wired Next Fest durante il Festival di Roma e al Lucca Comics & Games, il film è adesso già visibile su Youtube (in maniera assolutamente legale) con la distribuzione dei The Jakall. Approfittando della presentazione di “Vittima degli eventi” a New York con la collaborazione di The Creative Shake, abbiamo incontrato in un bar italiano di Chelsea il regista Claudio Di Biagio e l’interprete di Dylan Dog, Valerio Di Benedetto, con cui abbiamo chiacchierato non tanto del film in sé, ma di cosa rappresenta per loro e per il cinema un’operazione del genere.

Dopo Roma, Lucca, la pubblicazione su Youtube, eccovi nella Grande Mela...

Claudio: Vittima degli eventi è un film che ha bisogno di dimostrare qualcosa. L’obiettivo per cui abbiamo fatto questo film, sia io che Luca Vecchi, ma anche Valerio e tutti gli altri che hanno collaborato con noi, è dimostrare che esiste un certo tipo di professionalità che non trova sbocco in Italia e che in questo caso viene fuori come uno scacco matto. Riuscire a far vedere il film a New York come riuscire a farlo vedere a centinaia di migliaia di persone tramite Youtube, è come aver messo in scacco tutti. Essere qui oltreoceano è parte di questo processo e tanto è stato forte l’urlo del nostro approccio creativo e artistico che non poteva andare diversamente. Questo prescinde dal fatto che il film possa piacere o non piacere.

Valerio: Un film del genere è molto importante perché può essere un cavallo di Troia per il sistema. Nessuno investe sui giovani e questo è un modo per dimostrare che l’abusata frase “investiamo sui giovani” può diventare realtà se c’è volontà, perché ci sono giovani che sanno fare le cose. Ma soprattutto è un incentivo, un incoraggiamento per chi crede che va tutto male e che non si può fare nulla. L’impossibile è solo quello che ci poniamo come limite mentale rispetto a quello che possiamo fare. In fondo il film nasce da una semplice battuta di Claudio mentre eravamo sul set di Freaks! in cui mi diceva che assomigliavo a Dylan Dog. Così è nata pian piano la sceneggiatura e mentre la leggevo, pensavo “che bello se Madame Trelkovski la interpretasse Milena Vukotic!”; “l’ispettore Bloch è uguale ad Alessandro Haber!”. Ci abbiamo creduto e alla fine siamo riusciti a convincerli. La vittoria di questo film è averlo fatto senza essersi posti dei limiti e a quel punto New York è venuta da sé.

In Italia il cinema di genere non funziona. Peggio ancora se crossover, si dice inoltre che il crowdfunding non ha molto successo…

Claudio: Non è vero che non funziona il cinema di genere, è che in Italia semplicemente non si fa cinema di genere. Tutto il cinema deve essere di genere perchè c’è già la televisione che fa un prodotto generalista, mentre il film invece deve essere specifico. Per farlo però devi avere un pubblico preparato. In Italia esiste anche un pubblico preparato, ma non è quello su cui si punta perchè la produzione non ha il coraggio di investire in questo pubblico e invece è molto più facile produrre cose che sai che potrai vendere facilmente non rischiando su un mercato dove quelle idee possono non funzionare. Quindi piuttosto si preferisce evitare determinate scelte. Per concludere: il cinema di genere funzionerebbe se ci fosse e Vittima degli eventi è un film di genere. Per quel che riguarda il crowdfunding invece prescinde dall’atto cinematografico, ed è piuttosto un problema culturale italiano per cui c’è la paura di affidare i propri soldi a qualcosa di sconosciuto. Tante persone che incontravo in strada volevano darmi i soldi in contanti piuttosto che tramite internet. Il crowdfunding non funziona perché si è restii alle novità e quindi è complicato fare questo passo. Noi ci siamo riusciti perché sia io che Luca avevamo già una fanbase su Youtube e quindi un pubblico che già ci conosceva. Abbiamo fatto due campagne, ma la seconda è andata decisamente meglio perché abbiamo mostrato un teaser, cioè qualcosa di tangibile, di esistente. Le persone hanno capito che non stavamo rubando i soldi e che si potevano fidare. Ma resta che il fatto che il crowdfunding da solo non funziona. Però esistono anche casi fortunati come Io sto con la sposa che è arrivato addirittura alla Mostra di Venezia.

Valerio: E’ normale che se sei conosciuto hai più facilità a trovare soldi. È la stessa logica per cui incassa molto più Shrek 4 che il primo Shrek. Per quel che riguarda i film di genere, il problema è che in Italia non ci proviamo. È più semplice comprare roba dall’estero piuttosto che produrla noi e mi riferisco a tutte quelle serie che stanno avendo grande successo da noi. Vedi The Walking Dead, solo per fare un esempio. Però affianco a questa, esiste anche un’altra realtà. Io vengo da un altro esempio di rottura del sistema che è stato Spaghetti Story, film fatto con 12.000 euro in soli 11 giorni, con tutti giovani professionisti a cui non era mai stata data l’opportunità. Il film è stato un caso, per molti versi strumentalizzato, ma è riuscito a farsi vedere. C’è un movimento che sta cercando di alzare la testa e che, ripeto, è fatto di professionisti che, anche se lavorano sul web, hanno una propria formazione artistica alle spalle. Invece questa cosa viene spesso sottovalutata e succede addirittura che molti produttori appena una web serie funziona, decidono di lanciarsi nel web credendo di poter improvvisare.

Ma esiste un pubblico del web?

Claudio: No, appunto. Non esiste un pubblico del web. Il web per quanto sia accessibile, per quanto libero e aperto è invece molto più specifico della televisione. Se hai un certo tipo di pubblico, quel pubblico segue solo quella cosa. Se vuoi vendere qualcosa devi targetizzarla. Non puoi prendere una cosa e adattarla secondo le tue esigenze, piuttosto devi far sì che quella cosa abbia un target preciso e specifico. Noi sapevamo che pubblico prendere, così si costruisce anche il tipo di creatività e il tipo di comunicazione del film o del prodotto che stai realizzando. Prendiamo l’esempio di La mamma imperfetta, che è una produzione televisiva adattata al web che ha avuto successo semplicemente perché è stata inserita sul sito del Corriere.it ovvero lo stesso target della televisione. Quello però non è il pubblico del web. Su youtube non avrebbe avuto successo.

Quindi si potrebbe realizzare anche Tex Vittima degli eventi?

Claudio: Sì, se lo targetizzi sì. Non puoi mettere Favj, un diciannovenne youtuber italiano che ha un milione di iscritti, a fare Tex perchè vuoi rivolgerti ad un pubblico di quindicenni. Non funziona. Lo devi rebootare. Non puoi essere anacronistico. Tex Vittima degli eventi sarebbe un film ipercitazionista e splatter alla Tarantino.

Valerio: Django!

Qual è il futuro del cinema secondo voi?

Claudio: Più che parlare di cinema parlerei di prodotto audiovisivo. Io comunque spero che la sala non morirà mai. Anzi credo che la sala non può morire, se si fanno ancora film come Gravity, la sala continuerà ad esistere a lungo. Non puoi vedere un film del genere in streaming o a casa, lo devi vedere assolutamente in sala. Comunque in futuro bisogna fare sempre più un cinema che sappia parlare più lingue. Ma in fondo è sempre stato così. È stato così con il neorealismo, la commedia all’italiana, ma anche con lo splatter degli anni Ottanta. L’arte è un bisogno di espressione umana che va sempre incontro al periodo e al contesto in cui nasce. Non si tratta però solo della parte creativa e contenutistica del film, ma anche di quella formale. Oggi devi essere in grado di saper leggere le scelte del pubblico non solo sul tipo di comunicazione, ma anche sul tipo di medium di fruizione. Quindi dico che il futuro del cinema in Italia c’è e che esiste tutto un movimento attivo, carico di spinta creativa e di rivolta che è un bisogno che nasce da dentro. Penso a Sidney Sibilla, The Jakall, The Pills, I Licaoni.

Valerio: Il problema del cinema oggi in Italia è la distribuzione e quindi si fanno solo strategie di mercato basate sulla popolarità e sul successo già acquisito. È giusto puntare su queste strategie, ma bisogna anche investire sulle idee nuove e vincenti. Il cinema in fondo è un mestiere. Bello, brutto, sempre sul filo del rasoio, ma è un mestiere. E non mi stanco di ripeterlo, ma per fare l’attore o il regista o qualunque altra attività sul set, devi avere una formazione alle spalle. Tanti si lanciano sul web o vanno ai reality e credono che basti quel successo per diventare qualcuno. Ma non è così.

Ma si può passare dal web al cinema? Si può portare la propria esperienza di youtuber nel cinema?

Claudio: Io voglio fare cinema. Dopo Vittima degli eventi, vorrei fare un thriller, vorrei fare tante cose, ma so che non posso e non mi sento di azzardare. Per cui se voglio poter fare un’opera prima, so che dovrà essere una commedia studiata a tavolino per non essere brutta. Ho già scritto una sceneggiatura un po’ alla Little Miss Sunshine ma che comunque è attinente a me e interpreta una certa mia idea del web e che fa capire chi è lo youtuber. Inoltre dentro c’è un road trip e una storia d’amore. Ho cercato insomma di creare degli elementi che possano funzionare, senza scadere nel volgare, ma anche se so che devo scendere a compromessi per poter produrre il mio film, voglio mantenere il mio stile.

Come è cambiata invece la critica ai tempi di youtube?

Claudio: Odio il web dopo Vittima degli eventi. Il web non è altro che l’illusione della democrazia. Internet dà la possibilità a tutti di poter parlare, ma non tutti hanno l’autorevolezza professionale per esprimere il proprio giudizio. I social network non ti chiedono di parlare per forza, eppure ognuno si sente in dovere di essere critico, esperto. Viviamo in un tempo in cui è facile illudere noi stessi che stiamo effettivamente esprimendo un parere, ma invece abbiamo semplicemente bisogno di farci notare senza rischiare niente. È l’illusione di poter essere democratici.

Valerio: Ma in fondo la democrazia nell’arte non esiste. C’è sempre una dittatura. Perché c’è sempre qualcuno che in fondo ha l’ultima parola. Sul set c’è il regista che decide. Io accetto tutto, tranne che non venga rispettata la professionalità. Su questo non transigo. Comunque per essere propositivi: il cinema può cambiare ma dipende da noi.

Ai posteri l’ardua sentenza...


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