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Incontro con Carlo Rambaldi

Pubblicato il 28 novembre 2002 da Riccardo Protani


Incontro con Carlo Rambaldi

Se il film fosse stato realizzato ora avrebbero chiamato sempre lei per gli effetti speciali o avrebbero scelto la scorciatoia del digitale?

“Digitale sicuro, che poi costa almeno otto volte di più della meckatronica, cioè delle mie marionette idrauliche: E.T. è costato 11 milioni di dollari, l’abbiamo realizzato in tre mesi e nel film ci sono circa 120 inquadrature con l’alieno. Per fare la stessa cosa in computergraphic ci vorrebbero almeno 200 persone e 5 mesi di lavoro, immaginatevi il costo... Eppure oggi non si bada a spese pur di stupire! Ma questo è il progresso, e oggi il cinema del computer sta inglobando le arti e i mestieri che hanno fatto la sua storia, come le associazioni dei manovali e dei falegnami. Non ci si può fare niente... o no?”

Sei anni fa lei è tornato dagli USA per fondare a Terni l’Accademia Europea degli Special Effects, un’esperienza che è durata solo tre anni...

“Ho accettato questo impegno per insegnare insieme la meckatronica - che anche se non viene più richiesta in campo cinematografico può esser sempre applicata ai parchi tematici, tipo Disneyland - e la computer grafica. In Italia, dove realizzare film digitali costa troppo, il computer, pensavo, può servire almeno in campo pubblicitario... La realtà è stata che l’Accademia non ha mai usufruito di mezzi adeguati: i pc che avevo richiesto non sono mai arrivati e questo è stato l’inizio della fine. Nel campo degli effetti speciali, bisogna ammettere che ci vorranno anni per arrivare ai livelli statunitensi, tra l’altro favoriti da un numero di spettatori potenziali enorme. Se l’Europa, almeno per il cinema, diventasse un unico mercato allora crescerebbero i budget, migliorerebbe la qualità delle pellicole e gli esperimenti costosi anche in questo campo sarebbero assicurati. Ma per ora tutto questo è un’utopia.”

Come lavora Lei oggi? Utilizza ancora la plastilina?

“Certo che sì, io vado avanti sempre con lo stesso sistema: il computer non lo voglio nemmeno conoscere! Se con l’elettronica è lo stesso regista ad essere estromesso dal lavoro sugli effetti speciali, figuratevi io... Del resto, come farebbe oggi uno Spielberg a controllare in ogni suo film un esercito di centinaia di persone specializzate solo su un numero esiguo di sequenze? Con la meckatronica invece il regista era a fianco all’operatore e aveva anche controllo su tutta la post-produzione. Memore forse di questo proprio Spielberg, in The Lost World: Jurassic Park ha voluto realizzare “artigianalmente” una scena particolarmente complicata con un dinosauro meccanico: ha risparmiato migliaia di dollari lavorando insieme ad altre cinque persone per un mese e mezzo: tempi dilatati al massimo ma credo proprio ne sia valsa la pena.”

Tornando ad E.T.:quale è stata la genesi della sua creazione?

“Già nello script E.T. doveva essere un innocente, un “bambino” spaventato da un mondo che non conosce. La sfida era nel riuscire ad abbinare un’originalità fisica a un’espressività innocente, e poi doveva avere un’età indefinita: né giovane né vecchio. Le sue rughe sono solo un ornamento, non un indizio della sua età.”

Come è nato invece Yo-Darh, il suo ultimo personaggio?

“E’ nato quasi come una risposta ad E.T.: ha un temperamento completamente opposto, ha maggiore iniziativa del protagonista di Spielberg. Viene sulla Terra per conoscere i terrestri, per confrontarsi con loro. Yo-Darh, che stiamo realizzando in coproduzione con Spagna, Francia e Germania, è un soggetto di mio figlio Vittorio e ci stiamo lavorando come cartone animato tradizionale, anche se stiamo valutando attentamente l’inserimento di alcune sequenze in digitale.”

In questa epoca di innovazioni digitali e tecnologiche, lei crede che sarà possibile un nuovo tipo di interazione tra un’arte artigianale come quella servita per realizzare E.T. e queste nuove frontiere?

“Ci spero, ovviamente. La mia speranza è che non si perda quanto di buono è stato realizzato fino ad oggi solo per seguire le sirene del successo facile e della moda.” Cosa ci dice del suo progetto per Pinocchio? E’ vero che a suo tempo avrebbe preso contatti anche con Benigni per realizzarlo?

“Con Benigni ci ho parlato una volta sola prima che iniziasse a girare il suo film, mi ha chiesto qualche suggerimento tecnico e poi è sparito. Io comunque non nutro simpatia per nessuno dei Pinocchio realizzati finora, e questo perché alcun regista ha rispettato Collodi fino in fondo: Disney ha reso il grillo parlante il vero protagonista del racconto mentre Comencini ha realizzato proprio un’altra cosa... figuratevi che venne dal sottoscritto nel 1969 dicendomi che la Rai gli aveva commissionato un potenziale sceneggiato dal titolo Pinocchio e mi chiese di realizzare un burattino di prova per le scene. A mie spese. Beh, accettai e realizzai tre prototipi del personaggio. Quando però mi accorsi che la produzione trafugava i miei progetti per riutilizzarli a costo zero sul set (a me intanto veniva riferito che le riprese dovevano ancora iniziare) mi sono rivalso in sede legale per il plagio e il giudice è riuscito anche a sequestrare la pellicola due giorni prima della messa in onda... ma la soddisfazione più grande è stata sapere da fonti sicurissime che per tutta la durata delle riprese il “loro” burattino meccanico ha sempre funzionato male!”

Signor Rambaldi, sul serio, lei crede agli alieni?

“Certo! Ci sono, anzi è ovvio che esistano. Le stelle dell’universo sono dei soli con decine di pianeti attorno ad ognuno di essi. Esistono miliardi di soli, esisteranno anche miliardi di pianeti dove l’atmosfera può essere respirabile per organismi simili a noi, anche nell’aspetto. Fisicamente siamo delle macchine perfette, la natura ci ha costruiti secondo una logica assoluta attraverso un’evoluzione durata migliaia di anni. Perché pensare che ciò sia accaduto solamente sulla Terra? L’unico problema, risolto dal nostro E.T. è quello del contatto e delle distanze: Dobbiamo arrenderci all’evidenza di questi limiti fisici e sperare che un giorno ci si possa incontrare almeno a metà strada...”

[Gabriella Benedetti + Riccardo Protani] (aprile 2002)


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