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Jimmy della collina (Conferenza stampa)

Pubblicato il 26 aprile 2008 da Gaetano Maiorino


Jimmy della collina (Conferenza stampa)

Roma. Dopo il suo esordio nel lungometraggio con la storia di giovani pugili Pesi Leggeri, Enrico Pau porta nelle sale il suo nuovo film, Jimmy della Collina, racconto della vita di un adolescente sbandato nella Sardegna industriale. Un racconto esistenziale che ha come protagonista un diciassettenne arrestato dopo una rapina in un grande magazzino e del suo periodo in carcere e in comunità alla ricerca di un senso nella realtà desolante e mercificata che il regista ci propone.

Enrico, Jimmy sembra il ritratto di un adolescente in fuga. È giusto dire che scappa da quel destino che sembra ormai stabilito per lui? Il lavoro in raffineria, la vita scandita dai turni in fabbrica, la routine quotidiana.

Sì Jimmy è certamente un ragazzo in fuga. Fugge da se stesso prima di tutto e poi certo, scappa da un modello moderno, da un simbolo che è quello della fabbrica. Tutta la prima parte del film racconta questo suo scappare e sullo sfondo si vede incombente la figura emblematica della raffineria. Il montaggio suggerisce una visione onirica a volte di questo suo correre, si tratta di immagini che lo assillano, una situazione che gli fa desiderare appunto di fuggire. È un po’ un classico, se andiamo a guardare anche il cinema americano, del ribelle che reagisce in maniera particolare, in maniera incomprensibile alla morale borghese in cui si sente soffocare, un po’ una Gioventù Bruciata se vogliamo. C’è una fuga soprattutto dai modelli devastanti della città-mercato, non a caso per la rapina Jimmy sceglie un grande magazzino; è una metafora sul presente, sugli orizzonti desolanti che ci si trova davanti oggigiorno. Jimmy non vive in una realtà totalmente degradata, anzi nel paese in cui abita c’è lavoro ad esempio, ma gli adulti sono imprigionati in una normalità rassicurante che in realtà non c’è, e la reazione violenta di Jimmy rompe questa normalità in cui si trova a vivere.

Allo stesso tempo però è un personaggio fermo, bloccato nella sua dimensione senza cercare nemmeno l’occasione di riscattarsi. In ciò è differente dai pugili di Pesi leggeri che almeno tentavano di affrancarsi con lo sport.

Sì è vero è una situazione differente, ma diciamo che Jimmy è in un certo senso affascinato dalla criminalità, dalle sue dinamiche, in particolare dai suoi rituali: gli incontri nei bar malfamati, le facce dei malavitosi, il sesso con la prostituta prima della rapina, è tutto questo che lo attrae. È un universo in cui vuole entrare in cui si sente forte.

Forza che però non ha realmente. Jimmy ha sempre la stessa espressione strafottente in ogni momento, si tratti della rapina, del carcere, del sesso, è una maschera ma in fondo non è così?

Jimmy è un bullo, di quelli che sbattono più violentemente contro la vita. È uno di quelli che non vuole chiedere mai, ma in fondo non ha quel carattere, i retaggi di una morale latente, dei valori positivi insegnati dalla famiglia, nei momenti topici vengono fuori e lui si blocca.

Un significato importante nel tuo film è affidato al montaggio sonoro, molti suoni riempiono la scena in maniera così cupa da impressionare.

Il suono è fondamentale. In carcere i suoni sono la cosa che colpiscono di più, la cosa che rimane impressa. Nel film ho cercato di dare al suono una funzione musicale, c’è un montaggio sonoro molto ricercato.

Il film è tratto da un romanzo di Massimo Carlotto, che appare anche in un breve cameo, quanto ha contribuito lo scrittore nella stesura della sceneggiatura e quanto il film si distacca dal libro?

Carlotto non ha scritto il film, ha solo messo nelle mie mani e in quelle di Antonia Iaccarino il suo romanzo. Il film si distacca abbastanza dal libro, il finale è differente, il personaggio di Claudia è maggiormente sviluppato. Io e Antonia abbiamo fatto un grosso lavoro di preparazione, visitato molte carceri e ad esempio la scena della messa l’abbiamo vissuta davvero.

Un film come il tuo, senza budget da blockbuster quante difficoltà produttive e distributive incontra?

Diciamo che ci sono state per la distribuzione le difficoltà che hanno tutti i film ultimamente, ma per fortuna la Arancia Film, che ha distribuito anche Il vento fa il suo giro, crede in progetti italiani come il nostro e ha distribuito laddove si sapeva che avremmo avuto un buon riscontro di pubblico, il film è stato distribuito in maniera oculata e intelligente. Per la produzione diciamo che il film è un piccolo miracolo! Grazie a un grosso contributo della fondazione OPE e della regione Sardegna siamo riusciti a girare, ma non sento questo film come una pellicola low budget: credo che seppure avessi avuto ulteriori finanziamenti avrei girato il film così com’è, sono riuscito a fare esattamente ciò che volevo grazie anche agli ottimi collaboratori con cui ho lavorato.

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