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Festival Del Film Di Roma 2014 - Incontro con Wim Wenders

Pubblicato il 20 ottobre 2014 da Agostino Devastato


Festival Del Film Di Roma 2014 - Incontro con Wim Wenders

Si presenta in un elegante abito scuro, sopra un paio di scarpe sportive e colorate, da camminatore, eleganza e comodità, predisposizione al viaggio; è così Wim Wenders, raffinato e affamato predatore di storie e di personaggi da raccontare. Grandi applausi del pubblico in sala Sinopoli al suo ingresso, per la conversazione che il regista tedesco ha regalato agli appassionati del Festival del Film. Lui ringrazia, con un filo di voce, sembra stanco, infatti subito si siede e fa segno che può cominciare la conversazione. Non parla di sé, né del suo cinema, su cui ci sarebbero da fare tante conversazioni, parla di un uomo, di un artista, il fotografo Sebastião Salgado, la materia prima del suo ultimo documentario The Salt of The Earth.

Proprio sul rapporto tra cinema e fotografia comincia la conversazione, e subito Wenders spiazza tutti dicendo Più invecchio e meno capisco cosa significhi la fotografia. È tutto più complesso dall’evoluzione della tecnologia digitale. Sembra strano sentire questo proprio da lui che, oltre ad essere regista, è anche fotografo. Basterebbe guardare un solo fotogramma di un suo qualsiasi film per capire quanta importanza rivesti la fotografia nel cinema di Wenders. È evidente quindi che la sua affermazione voglia cogliere aspetti molto più profondi, infatti dice c’è un fenomeno che mi affascina da sempre, in ogni fotografia è come se ci fosse un controcampo incorporato. Prima vediamo il campo, il soggetto raffigurato, e poi c’è sempre un controcampo, invisibile, che però si percepisce. E in Salgado questo controcampo c’è sempre. Quello che ho cercato di fare con The Salt of the Earth è sollevare questo velo invisibile e rivelare il controcampo. Vediamo quindi un estratto del documentario, in cui lo stesso fotografo brasiliano racconta l’impressionante miniera d’oro di Sierra Pelada. Vengono i brividi a sentire il racconto di Salgado su quegli uomini che si arrampicavano ad altezze proibitive 50/60 volte al giorno. Sembra in effetti un enorme set cinematografico” racconta Wenders “ho cercato di raccontare l’enorme complicità che c’era tra Salgado e quegli uomini, e sempre sul rapporto tra cinema e fotografia Wenders ricorda che Salgado usa fotografare i suoi soggetti, le sue storie come fossero dei film, usando più campi In ogni fotografia vediamo un frammento di tempo, e ogni fotogramma si avvicina all’aspetto di un film.

Anche questa è la potenza della fotografia di Salgado, che somiglia tanto al cinema, non solo nella forma, ma soprattutto come atteggiamento estetico, in quanto il fotografo, come il regista, guarda. Salgado non poteva tornare in Brasile per via della dittatura, e allora si spostò in Paesi vicini, in cui è rimasto per tantissimo tempo, perdendosi letteralmente. Lui si perdeva nelle popolazioni che raccontava, scompariva, e questa è la condizione ideale per chi vuole fare cinema, scomparire in ciò che si vuole raccontare. Oro per i tanti appassionati di cinema presenti in sala.

In The Salt of the Earth è lo stesso Salgado a raccontare le sue immagini, e non è stato semplice per Wenders capire come girare un documentario su un artista così visceralmente segnato dal suo lavoro. Ho girato questo film due volte, la prima in maniera tradizionale, due camere, io e lui seduti a parlare, ma poi ho notato che quando lui guardava le sue foto viveva un enorme carico emotivo, ritornava al momento in cui ha scattato quelle foto. Poi ricominciava a guardare me e usciva da quello stato emozionale. Allora ho capito che dovevo vedere questo suo lato più coinvolto dovuto all’osservazione delle foto. Abbiamo utilizzato un pannello trasparente su cui passavano le sue foto, lui le guardava ma in realtà guardava diritto nella macchina da presa. Questa era l’intimità che cercavo, di domande infatti ne ho fatte poche, lui guardava le immagini e le raccontava.

Nella sua carriera Salgado ha sempre cercato la verità nelle immagini, trascorreva un’enorme quantità di tempo insieme ai suoi soggetti proprio per riuscire a scavare più a fondo e a tirare fuori immagini di verità oltre che di bellezza. Verità e bellezza, due concetti antichi ed eterni, su cui anche Wenders si interroga, quando il tempo ormai sta per scadere, Verità e bellezza non sono due concetti separati, anzi sono la stessa cosa, ciò che è bello è anche vero, e ciò che è vero è anche bello. La bellezza può essere soggettiva, anche la verità probabilmente, solo che nella verità ci sono meno trappole. Se ne esce con un tocco di ironia, elegante certo, raffinato, ma sempre con quella voce sottile e stanca, più stanca del solito in realtà. Il pubblico lo ringrazia con un lungo applauso, Wim Wenders ringrazia a sua volta, ma prima di andare via mostra una scatola di compresse per la febbre. Stanco, ma sempre grande.


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