X

Su questo sito utilizziamo cookie tecnici e, previo tuo consenso, cookie di profilazione, nostri e di terze parti, per proporti pubblicit‡ in linea con le tue preferenze. Se vuoi saperne di pi˘ o prestare il consenso solo ad alcuni utilizzi clicca qui. Chiudendo questo banner, invece, presti il consenso allíuso di tutti i cookie



Anniversari - Kieslowski 10 anni dopo

Pubblicato il 13 marzo 2006 da Alessandro Izzi


Anniversari - Kieslowski 10 anni dopo

È stata una meteora che per un momento, con il suo baluginio inatteso, ha acceso i cieli della nostra notte. Una figura imprescindibile del cinema contemporaneo che, con appena una manciata di film, solo gli ultimi universalmente noti, è stato capace di rilanciare un’idea di cinema d’autore che sembra essersi spenta con la sua stessa morte avvenuta appena dieci anni fa. Soprattutto è stato la coscienza critica dell’avventura dell’unione europea, il grillo parlante delle nostre coscienze addormentate e addomesticate da televisione e pubblicità, la voce discorde che fondendo insieme, come da più parti si è fatto notare, la lezione di Hitchcock allo sguardo freddo e disperato di Bergman, non ha mai offerto risposte facili, ma ha sempre saputo fare le domande giuste con un anticipo sorprendente sui tempi.
Cantore di grandi interrogativi esistenziali e di cicli poderosi (Il decalogo, La trilogia dei colori), Kieslowski si scolpisce nella nostra memoria cinefila anche e soprattutto per il suo inappellabile attestato di fede nei confronti dei capricci del fato, di un destino cieco che ci vede benissimo e che gioca con le vite degli uomini come un burattinaio folle (lo stesso che anima, magari, i pupazzi dell’incantato episodio teatrale di La doppia vita di Veronica). Un destino ossessionato da numeri e ricorrenze che ai suoi personaggi, ma anche ai suoi spettatori, è dato leggere e capire solo a posteriori.
I film di Kieslowski, a ben guardare, sono tutti dei gialli camuffati, dei giochi intellettuali che nascondono dietro la precisione geometrica dell’intreccio che si muove tra specchi deformanti e figure simmetriche, una disperazione di fondo che non ha pari nell’intero panorama del cinema contemporaneo. Questa scelta filosofica porta ad un totale stravolgimento delle convenzioni del giallo tradizionale, ad una sua trasformazione interna che nega ogni possibile approdo consolatorio, ogni punto di vista rassicurante. Il delitto, che è alla base di ogni giallo che si rispetti, diventa nelle mani di Kieslowski una sorta di accidente, spesso neanche del tutto voluto dallo stesso peccatore che lo compie. Come in una tragedia greca è il fato cieco scelto da divinità lontane a stabilire le cose, a definire gli eventi. Ai protagonisti delle varie pellicole, impossibilitati a compiere qualsiasi tipo di scelta, non resta che la tragica consapevolezza morale delle conseguenze del loro agire. Anche il più colpevole di tutti i personaggi kieslowskiani (il Janek di Breve film sull’uccidere poi trasformato in Decalogo 5: Non uccidere) non è mai del tutto realmente responsabile delle sue azioni. Uccide, certo, pianifica fin nei minimi dettagli il proprio delitto, eppure è perennemente sorpreso dalle sue stesse azioni e dalle conseguenze imprevedibili che ne conseguono. È goffo, incerto come un ragazzino non ancora del tutto consapevole del suo agire. Perché, in fondo, uccide il tassista? Cosa sta esattamente cercando? Non vuole, forse, essere preso fin dall’inizio?
La macchina da presa del regista polacco segue con fredda determinazione ogni sua azione e rigidamente ci mostra, ad ogni passo, tutti i momenti e tutti quegli incontri che avrebbero potuto impedire l’omicidio e che non l’hanno fatto perché i personaggi coinvolti erano troppo distratti per capire la portata di quanto stava per scatenarsi. Il vero delitto di tutto il cinema di Kieslowski è, da questo punto di vista, l’indifferenza che troppo spesso nutriamo verso gli altri, la nostra incapacità ad ascoltare perché troppo presi da noi stessi fino all’assurda considerazione di come molte cose potrebbero cambiare qualora il destino dovesse decidere, per noi, l’apertura di una porta invece che di un’altra. Avvocato e omicida, in Decalogo 5, si incontrano poco prima dell’omicidio, ma quell’incontro resta solo un capriccio del caso, uno snodo narrativo che non si apre e che è destinato a restare nella memoria del primo con l’angoscioso interrogativo classico del “se me ne fossi accorto. Se avessi fatto questo, invece di quello”.
Per questo le traiettorie dei gialli dell’anima di Kieslowski seguono sempre percorsi inaspettati e i suoi personaggi, soprattutto quelli secondari, acquistano di colpo un peso nuovo perché divengono vere e proprie strade percorribili in quell’intreccio di vie cui diamo il nome di mondo.
Nei film del regista polacco a contare sono spesso le storie non raccontate, gli accenni di destini ulteriori. Nella trilogia, per esempio, a salvarsi dal naufragio finale della nave del destino sono, incredibilmente, tutti i protagonisti. Ma si salva anche un ignoto, sconosciuto barista che nessuno riesce a vedere e che sfugge anche alla telecamera delle televisioni accorse sul luogo della tragedia. Tornano a terra, insomma, tutte le persone che dovrebbero incarnare gli ideali della rivoluzione francese (ma che sanciscono con le loro esistenze esemplari l’impossibilità di realizzare davvero, nel mondo, le “giuste” astrazioni del pensiero umano sia esso laico che religioso), ma torna a terra anche un personaggio mai incontrato la cui storia non narrata diventa, di colpo, oggetto di interesse. Chi è mai quest’uomo? Perché trova salvezza insieme ai personaggi di questo affresco epocale? Cosa può aver fatto o non fatto per meritare di non morire (sempre che la morte sia un premio o un castigo nel disperato mondo kieslowskiano)?
In questo modo il regista polacco rilancia all’infinito un’idea di responsabilità universale. Noi siamo tutti colpevoli dei peggiori crimini, anche e soprattutto di quelli commessi da altri perché le nostre realtà sono interconnesse e tra loro per sempre indistricabili. Come nell’effetto farfalla l’azione di una persona dipende anche dalle azioni e dalle non azioni di tutti gli altri. _ E anche se si tenta disperatamente la strada della libertà da ogni legame sentimentale (come la Julie di Film Blu) questa strada non porta da nessuna parte perché anche l’allontananamento dal mondo finisce per essere azione che si ribalta sugli altri.
Per questo Kieslowski ridisegna definitivamente il senso del narratore onnisciente di stampo ottocentesco. Il regista disegna e compone le storie dei suoi ignari personaggi, ma sulla base della certezza che “sa di non sapere”. Nella complessità indicibile del mondo, l’autore può scegliere di raccontare solo un frammento dell’esistente, tutto il resto deve, per forza di cose restare fuori dal suo sguardo. Ma chi può davvero dire che a restare fuori non sia stata davvero la cosa più importante?

Articoli correlati:

DVD - Tre colori: Film blu
DVD - Tre colori: Film bianco
DVD - Tre colori: Film rosso
Considerazioni su Krzysztof Kieslowski
L’enfer


Enregistrer au format PDF